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Come sta l’ecosistema delle startup in Italia?

Ne ha parlato a settembre, durante Italian Tech Week, Yoram Wijngaarde, Founder & CEO della piattaforma globale di raccolta dati su startup, innovazione e aziende ad alto tasso di crescita Dealroom.co.

Articolo estratto dall’intervento di Yoram Wjingaarde durante Italian Tech Week 2021.

Oggi parleremo di startup e investimenti: a che punto è l’Italia? Prima parlerò del perché le startup siano importanti in generale, poi parlerò di dove si trovi l’Italia nel contesto europeo e infine trarrò alcune conclusioni e raccomandazioni.

Perché le startup sono importanti in quanto tali, perché ci interessano? Dunque, siamo nell’era imprenditoriale e le startup sono forme speciali di nuove aziende, ma non tutte le nuove aziende che nascono sono startup: le startup sono aziende speciali che sono progettate per crescere velocemente. Le startup, in aggregato, crescono molto velocemente ma sono anche rischiose. Infatti, solo il 30% ha davvero successo, anche se complessivamente crescono 3 volte più velocemente dell’economia tradizionale. Nelle città in cui abbiamo condotto la nostra indagine, il tasso di crescita delle startup per numero di posti di lavoro è del 10%. La maggior parte delle startup oggi, quasi tutte le startup in realtà, è sostenuta da VC, almeno tutte quelle che hanno successo.

Nell’area di San Francisco, per esempio, quasi tutti i posti di lavoro attualmente sono impieghi in aziende sostenute da venture capital, con una percentuale del 68%. In tutti gli Stati Uniti il dato è del 24%, nell’UE dell’1,8% e in Italia dello 0,01%. Queste aziende sostenute da VC stanno diventando aziende davvero grandi come Apple, Microsoft, Amazon, Google, Facebook. Queste aziende sono state tutte sostenute da venture capital in passato e negli anni sono poi diventate davvero importanti e, di conseguenza, la quota europea dell’equity globale è scesa dal 30 al 15% negli ultimi 20 anni.

Non si tratta solo di una questione di equity ma questa dinamica ha anche forti implicazioni strategiche a lungo termine. I vecchi grandi poli di ricerca e sviluppo si stanno concentrando intorno al digitale e alla sanità: è lì che gli Stati Uniti sono molto forti, come anche l’Asia o la Germania in una certa misura, mentre il resto dell’Europa va più lentamente. Questa è un’altra ottima ragione per cui l’Italia ha bisogno che le startup italiane diventino grandi aziende tech. Oggi qui, in Italia, c’è una spesa in R&S molto bassa in percentuale del PIL.

Questo scenario può sembrare scoraggiante, ma ecco che arriva la buona notizia: si pensa che il mercato tech sia tutto basato su grandi monopoli. In realtà è vero che c’è molta concentrazione, ma è anche vero che le aziende big tech stanno funzionando come un enorme attivatore per chi voglia creare disruption perché, di fatto, costituiscono delle piattaforme abilitanti per gli imprenditori che vogliono far crescere i propri business. Per esempio, Google ha il 90% delle quote nel mercato dei motori di ricerca e Facebook il 70% in quello dei social network, ma queste piattaforme sono le principali che le startup sfruttano per far crescere i propri business. Quindi, grazie a Google e grazie a Facebook, o AWS nei servizi cloud, c’è una distribuzione istantanea e infinita disponibile per qualsiasi startup e per qualsiasi progetti imprenditoriale che voglia avere accesso a un’infrastruttura scalabile istantaneamente.

Tutte le aziende tecnologiche, combinate a livello globale, valgono oggi 35 trilioni di dollari. Alcune di queste sono grandi aziende tecnologiche ma non tutte: c’è un dinamismo economico che rende le startup effettivamente più forti che mai e in grado di creare altrettanto valore delle aziende più vecchie. Inoltre ci sono più unicorni che nascono in questo periodo di quanti non ce ne siano mai stati prima d’ora. Quindi questa concentrazione nel tech non sta generando dei monopoli tanto più che, in realtà, il rischio di mortalità delle aziende è aumentato negli ultimi anni e la vita media delle aziende sta scendendo.

Ora guardiamo a che punto è l’Italia: l’Italia è la quarta economia europea, parte del G7, ma è solo la numero 12 per investimenti di VC in Europa. Se guardiamo il valore d’impresa combinato dell’ecosistema tecnologico, quindi il valore combinato per le startup, l’Italia è al 14° posto dietro Belgio, Irlanda, Finlandia, Danimarca, Polonia, Norvegia ecc. probabilmente non dove dovrebbe essere. Ci sono pochissimi unicorni per ora: solo 2 unicorni italiani che però si sono spostati e trasferiti in altre parti del mondo, e anche i futuri potenziali unicorni sono molto pochi. Ma alcuni passi sono stati fatti recentemente come la nascita di CDP Venture Capital, del Fondo Nazionale per l’Innovazione e di altre iniziative che ci fanno capire che siamo a un momento di svolta.

I capitali di rischio stanno salendo alle stelle oggi in Italia, con una crescita di 2,6 volte nella prima metà di quest’anno e l’enterprise value combinato di tutte le aziende tech italiane fondate dopo il 2000, quindi le startup, è ora di 22 miliardi. Questo dato è decisamente significativo. Se si confronta questo con la Spagna, la Svezia o la Francia, per esempio, l’Italia è circa 4 o 5 anni dietro la Spagna e circa 7 anni dietro la Francia. Quindi quello che deve succedere ora è che si continui a far girare il volano, che si ottengano alcune exit di alto profilo in modo da attrarre investitori globali, creare nuovi talenti qualificati ecc. Una volta che questo sarà accaduto le cose potranno iniziare a cambiare molto molto velocemente.

Quindi ecco le mie conclusioni e raccomandazioni per voi. Il primo punto penso sia molto importante: guardare i dati può sembrare molto scoraggiante, ma nella tecnologia le cose possono cambiare molto velocemente. A volte, come è successo in Romania o nei Paesi Bassi, un cambiamento radicale può venire fuori dal nulla e dare il via a una crescita molto velocemente. È quello che è successo anche 20 anni fa a Berlino: era conosciuta come una città molto economica a quel tempo e per questo alcuni imprenditori hanno iniziato a costruire aziende tecnologiche lì e hanno portato il livello della città a salire alle stelle. In secondo luogo, l’eccessiva regolamentazione delle big tech non è la risposta per colmare il divario, non è un sostituto della competizione. La terza raccomandazione è quella di evitare un eccessivo coinvolgimento del governo dall’alto verso il basso. La Francia ha dimostrato che il sostegno del governo può aiutare per il branding e per inviare un messaggio forte all’ecosistema ma occorre concentrarsi sul movimento dal basso verso l’alto, lavorando a migliorare la facilità di fare affari e la proprietà dei dipendenti. La leadership italiana di alto livello ha bisogno di inviare segnali forti, con misure reali. Il mio ultimo consiglio è quello di ascoltare le persone del settore, quelle che hanno veramente successo, che hanno le giuste intenzioni e che hanno veramente a cuore il successo dell’ecosistema italiano.

Se pensate che tutte queste osservazioni siano deprimenti è perché c’è bisogno di creare un senso di urgenza nell’ecosistema italiano. C’è una percezione che sia il momento dell’Italia, che questo sia il tempo giusto per investire in questo paese. Oggi i VC sono diventati globali, a causa della pandemia la gente investe a distanza, c’è molto interesse per gli investimenti in Italia ed è il momento di diventare più competitivi e cogliere tutte le opportunità.

Autore

Yoram Wjingaarde
Founder & CEO Dealroom.co

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