Risorsa realizzata da Valerio Capasso, Founder di TORO Legal Hub
Una delle tematiche più delicate e importanti che viene affrontata dagli imprenditori alla guida di imprese innovative (startup e PMI innovative) è certamente il fundraising presso i Venture Capitalist.
Lo scopo della presente risorsa è quella di fare chiarezza su alcuni aspetti, dinamiche e clausole che compaiono nei term sheet e all’interno degli accordi di investimento al fine di rendere più consapevole l’imprenditore e prepararlo ad affrontare la questione negoziale con l’investitore.
Una piccola precisazione pratica è doverosa, considerato che l’errore è molto frequente tra gli imprenditori giovani e meno giovani: MAI SOTTOVALUTARE il term sheet e le clausole in esse contenute!
Certo, a livello legale il term sheet non è vincolante tra le parti (investitori e founders), salvo i profili di mala fede negoziale sui quali non ci soffermeremo in questa sede, e trattasi di un impegno reciproco tra due parti a stipulare un futuro contratto, l’accordo di investimento per l’appunto. Ma una volta sottoscritto, difficile che l’investitore cambi idea e modifichi le clausole nell’accordo di investimento. Quindi, è necessario, affrontare sin da subito il term sheet con trasparenza e chiarezza con l’investitore al fine di evitare di vedersi fallire il fundraising.
Per tale motivo cercherò, qui di seguito di esplicare e chiarire brevemente alcune clausole più frequenti che compaiono in tali accordi.
Anti-diluizione
Una delle dinamiche cardine del fundraising è il meccanismo di anti-diluizione, il quale prevede che gli investitori protetti dalla diluizione godano del diritto di ricevere, in caso di down round (per tale intendendosi un aumento di capitale la cui valutazione pre-money sia inferiore alla valutazione post-money del round precedente), un certo quantitativo di azioni o quote per compensare l’effetto diluitivo subito.
Tipicamente, sono esclusi dalla definizione di down round gli aumenti di capitale deliberati in attuazione di piani di stock options oppure richiesti dalla legge per ricapitalizzare la società in seguito a perdite rilevanti. Vi sono due meccanismi solitamente adoperati per calcolare il numero di azioni/quote da emettere a favore dei soci protetti:
- il metodo “full ratchet”, tale per cui il prezzo delle partecipazioni sottoscritte dagli investitori protetti sarà uguale a quello dovuto dagli investitori del down round;
- il sistema del c.d. “weighted-average”, tale per cui il prezzo delle partecipazioni sottoscritte dagli investitori protetti sarà ricalcolato sulla base di un sistema di media ponderata tra i vari prezzi di sottoscrizione.
Il metodo full ratchet è ritenuto particolarmente aggressivo ed è poco usato nelle operazioni di venture capital, a favore del metodo weighted average spesso considerato un compromesso accettabile fra le parti.
A sua volta, il metodo weighted average si distingue in narrow-based e broad-based a seconda di quali quote/azioni debbano essere considerate nel calcolo del prezzo medio ponderato:
- nel metodo narrow-based, si tiene conto soltanto delle quote/azioni già emesse e in circolazione, senza considerare quindi eventuali diritti di opzione e di conversione esistenti ma non ancora esercitati;
- nel metodo broad-based, invece, si tiene conto anche di tali diritti di opzione o conversione in quote/azioni della società.
Nel patto parasociale e/o statuto queste clausole dovranno essere redatte in modo dettagliato e si consiglia che siano accompagnate da formule ed esempi numerici in modo da facilitarne la comprensione e applicazione. Sarà anche opportuno che il patto parasociale e/o statuto preveda azioni societarie necessarie per dare esecuzione ai meccanismi anti-diluitivi. Nell’interesse dei soci fondatori, generalmente non protetti dalla diluizione, è consigliabile che l’operatività di questa clausola sia limitata a un arco temporale predefinito.
ESOP
Spesso, nella redazione del term sheet compare la previsione di un piano di incentivazione (Employee Stock Ownership Plan, o ESOP) che prevede l’attribuzione di stock option, ossia di diritti di opzione per la sottoscrizione di un aumento di capitale deliberato dalla società, solitamente sottoscrivibile al nominale ovvero ad un prezzo di sottoscrizione scontato, destinato ad amministratori, dipendenti e collaboratori della società al raggiungimento di determinati obiettivi.
È interesse dei soci fondatori, quando rivestono ruoli manageriali, formalizzare l’impegno di tutte le parti (incluso l’investitore) ad adottarlo e chiedere l’inserimento della relativa previsione nel term sheet. Di fronte a tale richiesta, l’investitore potrà pretendere di avere un diritto di veto sull’approvazione del piano. Competente ad approvare il piano redatto dal consiglio di amministrazione è l’assemblea dei soci della Società, la quale potrà rinviare al consiglio di amministrazione la definizione di taluni contenuti e la sua attuazione.
Di solito il consiglio di amministrazione:
- individua i possibili beneficiari o stabilisce i criteri per individuarli;
- identifica gli obiettivi di business, commerciali, ecc. (che possono essere sia personali che aziendali) il cui raggiungimento determina la possibilità per ciascun beneficiario di partecipare al piano di incentivazione;
- stabilisce l’oggetto del piano, che potrà riguardare l’assegnazione di partecipazioni o di strumenti finanziari partecipativi o di diritti d’opzione a sottoscrivere partecipazioni, la cui acquisizione o esercizio potrà essere subordinato al verificarsi di determinati eventi (i.e., un evento di liquidità della Società, quale il trasferimento del 100% del capitale sociale a un terzo, oppure la quotazione della stessa, o una fusione, o la cessione di un ramo d’azienda o un round successivo di investimento ad una determinata valutazione pre-money, ecc.) oppure al trascorrere di un certo lasso di tempo (cd. “vesting period”) o, come spesso succede, ad entrambi i suddetti elementi;
- indica la percentuale di capitale sociale (anche massima) che si intende destinare all’attuazione del piano stesso.
Altre disposizioni rilevanti del piano riguardano le ipotesi di perdita delle opzioni legate alla cessazione del rapporto di lavoro o di amministrazione o di collaborazione con la società, l’indicazione del prezzo di esercizio cd. strike price (che potrà cambiare in funzione delle cause di uscita del beneficiario dalla compagine societaria o di cessazione del rapporto di amministrazione o dipendente o di collaborazione), ecc.
Contestualmente all’approvazione del piano, l’assemblea potrà adottare la deliberazione di aumento di capitale funzionale all’esecuzione del piano, oppure delegare il consiglio di amministrazione ad approvare l’aumento di capitale in un momento successivo entro certi limiti di tempo e ammontare.
Good leaver e Bad leaver
Nei patti di stabilità e di non concorrenza conclusi con le figure chiave per l’operatività della società (cd. key people – cfr. definizione che segue) si parla frequentemente di bad leaver e good leaver per identificare le diverse ipotesi di interruzione del rapporto tra la società e il socio/amministratore ovvero dipendente.
Solitamente le ipotesi di good leaver si riferiscono ad eventi che comportano una interruzione “fisiologica” del rapporto. Tali possono intendersi i casi di:
- pensionamento;
- scadenza del mandato in assenza di rinnovo;
- risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, collaborazione continuativa o di amministrazione;
- morte o invalidità permanente debitamente accertata e certificata; a cui possono aggiungersi le ipotesi di (v) licenziamento senza giusta causa e/o senza giustificato motivo soggettivo e/o giustificato motivo oggettivo;
- dimissioni per giusta causa;
- revoca dalla carica di amministratore senza giusta causa, ecc.
In caso di bad leaver detta interruzione presuppone la responsabilità del socio/amministratore o dipendente (es. licenziamento per giusta causa o revoca dalla carica di amministratore per giusta causa, rinvio a giudizio oppure condanna penale, ecc.). La definizione di bad leaver potrebbe essere rappresentata da tutte le ipotesi che non rientrano nella definizione di good leaver, ma il più delle volte, essendo un tema particolarmente delicato, le parti preferiscono identificare con chiarezza anche le ipotesi di bad leaver sin dalla fase di redazione del term sheet. In caso di bad leaver si è soliti riconoscere agli altri soci o alla società (ove startup o PMI innovativa) il diritto di acquistare la partecipazione del socio/amministratore o dipendente (qualificato come bad leaver), il quale sarà obbligato a vendere a un prezzo concordato e prestabilito avente, solitamente, carattere “punitivo” (da un minimo pari al valore nominale – opzione assai punitiva – a ipotesi di acquisto al valore di mercato fortemente scontato). Nel caso di good leaver il prezzo di vendita potrà coincidere con il prezzo di mercato oppure con un valore concordato tra le parti o con il risultato di una stima effettuata da una terza figura professionale qualificata. Il meccanismo di good leaver e bad leaver è molto spesso previsto anche all’interno dei piani di incentivazione con diverse conseguenze in merito alla maturazione delle azioni/quote oggetto di opzione.
Lock-up
l lock-up è il divieto per i soci di trasferire tutta o parte della propria partecipazione nella società. Generalmente, il lock-up è previsto a carico dei soci fondatori, che in tal modo sono vincolati a restare in azienda e ad amministrarla almeno fino ad un certo periodo di tempo prestabilito. Infatti, il lock-up trova corrispondenza nei cosiddetti patti di non concorrenza e accordi di stabilità contenuti nei patti parasociali tra investitori e soci fondatori oppure nei contratti di lavoro o di collaborazione di questi ultimi. Tendenzialmente il lock-up dura 3/4 anni ed è previsto solitamente solo a carico dei soci fondatori, sebbene in alcuni casi sia previsto anche per i soci investitori. Tuttavia, può accadere che gli investitori insistano per periodi di lock-up più lunghi (ad es. fino a 5 anni) a carico dei soci fondatori, accettando un lock-up più breve a loro carico.
Tag Along e Drag Along
Con la clausola di tag along, nel caso in cui alcuni soci (che rivestano un ruolo chiave nella gestione della società oppure detengano una partecipazione di controllo o una maggioranza significativa del capitale sociale, di solito almeno pari al 50% dello stesso) ricevano da un terzo acquirente un’offerta per l’acquisto di tutta o parte della loro partecipazione, talora solo in caso se sia tale da determinare un cambio di controllo nella società, è attribuito agli altri soci il diritto di “co–vendere” al medesimo acquirente e alle medesime condizioni anche le loro partecipazioni sociali. La clausola tutela i soci di minoranza che potrebbero non avere alcun interesse a rimanere all’interno della società se uno o più soci chiave dovessero cedere la propria partecipazione, e che faticherebbero a trovare un acquirente per una quota ridotta della società, e consente loro di sfruttare i termini e le condizioni di vendita concordati dal socio uscente con il terzo acquirente. Tale disposizione è solitamente prevista come contropartita della clausola di drag along a favore di coloro che nella previsione del drag along sono obbligati a vendere. Tuttavia, in alcuni casi tale diritto è conferito agli investitori anche se già titolari del diritto di trascinare gli altri soci secondo il meccanismo del drag along. Nel caso del tag along, trattandosi dell’esercizio di un diritto, non è necessario fissare una soglia minima di prezzo di cessione della partecipazione.
In sede di redazione va posta attenzione alle conseguenze del mancato verificarsi della co-vendita nel caso in cui, ad esempio, il terzo offerente non intenda acquistare anche le quote o parte delle quote dei soci che esercitino questo diritto. Ricorrendo una tale ipotesi, è possibile prevedere che la vendita al terzo delle quote del socio che ha ricevuto l’offerta non possa essere portata a compimento, salvo che il socio che ha ricevuto l’offerta del terzo sia disponibile ad acquistare, al posto del terzo, le partecipazioni dei titolari del diritto di co-vendita ai medesimi termini e condizioni a lui offerti dal terzo. È abbastanza comune in fase early stage trovare clausole di co-vendita che si attivano solo in caso di cessioni tali da comportare un cambio di controllo.
La clausola di co-vendita può essere:
- Proporzionale: i soci possono seguire la vendita con la stessa proporzione di quote vendute dal socio cedente (tipicamente nel caso di cessioni di quote non riguardanti l’intero capitale sociale nè partecipazioni di controllo, ma comunque al di sopra di una certa soglia);
- Totalitaria: i soci possono seguire la vendita con l’intera loro partecipazione (tipicamente nel caso di cessione dell’intero capitale sociale o di partecipazioni di controllo).
Invece, la drag along è il diritto di trascinamento che consente a determinati soci, una volta ricevuta un’offerta di acquisto dell’intera società, di obbligare gli altri soci a cedere anche la loro partecipazione alle medesime condizioni. A seconda dei casi, il diritto di trascinamento è concesso ai soli soci investitori ovvero alla maggioranza dei soci (spesso qualificata es. 60-75% del capitale sociale).
La ratio di questa disposizione è quella di evitare che taluni soci (che dovrebbero solitamente essere i soci di minoranza) possano ostacolare la cd. exit degli altri soci (soci di maggioranza) nell’ipotesi in cui questi ultimi trovino un terzo interessato ad acquistare l’intero capitale sociale. Tuttavia, nella prassi è piuttosto ricorrente che:
- questa clausola sia redatta nell’interesse dell’investitore, anche se titolare di una partecipazione di minoranza, per consentire a quest’ultimo di trascinare i soci fondatori;
- il meccanismo di trascinamento sia attivabile anche nel caso in cui l’offerta del terzo acquirente non abbia a oggetto l’intero capitale sociale della startup, bensì una partecipazione di maggioranza;
- il corrispettivo previsto per l’acquisto della partecipazione oggetto di trascinamento sia almeno pari al valore di recesso.
Liquidation preference
Scopo della liquidation preference è prevedere meccanismi tali per cui i detentori di talune partecipazioni c.d. “privilegiate” (solitamente gli investitori) hanno diritto di ricevere, al momento del verificarsi di un evento di liquidità e con precedenza rispetto agli altri, un valore pari al maggiore tra l’ammontare del capitale investito e l’ammontare dei proventi derivanti dall’evento di liquidità che gli spetterebbero pro-quota in virtù della propria percentuale di capitale sociale della società. Tra gli investitori che beneficiano della medesima liquidazione preferenziale, la liquidazione avviene pari passo, ossia simultaneamente e in proporzione all’ammontare investito nella società.
Potrebbe anche essere richiesta dall’investitore l’applicazione di un multiplo sul capitale investito, anche se questa soluzione è considerata piuttosto aggressiva. Questa clausola è oggetto di negoziazione tra le parti anche con riferimento alla richiesta degli investitori di partecipare pro-quota alla suddivisione della liquidità residua dopo aver beneficiato della distribuzione preferenziale. Infatti, soddisfatti i diritti degli azionisti c.d. “privilegiati”, gli investitori potrebbero dividere la restante parte di liquidità pro-quota con i soci fondatori (cosiddetta liquidazione partecipativa); oppure, tale liquidità potrebbe essere divisa solo tra questi ultimi, escludendo gli investitori che hanno già beneficiato del meccanismo di distribuzione preferenziale (cosiddetta liquidazione non partecipativa). Le clausole di liquidation preference vanno negoziate e redatte con particolare attenzione e cautela, al fine di non ledere eccessivamente gli interessi dell’una o dell’altra parte.
Lo standard europeo per round fino al serie A/B è la previsione di una forma di liquidazione preferenziale non partecipativa e senza multiplo (c.d. 1x non participating), ovvero la restituzione del capitale a cascata, dall’ultimo investitore al primo in ordine cronologico inverso, tale che i detentori di partecipazioni “privilegiate” ricevano, al verificarsi di un evento di liquidità, il maggiore fra l’ammontare investito e l’ammontare a loro spettante pro-quota.
Exit
In genere, i fondi di venture capital, che hanno necessità di disinvestire entro la data di chiusura del fondo, richiedono il diritto di attivare il processo di exit a partire dal terzo/quarto o quinto anno dal closing (i termini possono cambiare anche in considerazione del settore di operatività della startup) tramite una clausola che contempli la possibilità di presentare domanda per l’ammissione a quotazione ovvero, in mancanza dei presupposti necessari per avviare il processo di quotazione, preveda la possibilità di vendere prima la sola partecipazione del fondo e, in caso di insuccesso, l’intero capitale della società mediante incarico a consulente prescelto o da selezionarsi tra una rosa di nomi predeterminati.
Conclusioni
Oltre alle suddette clausole, negli accordi di investimento vengono “imposte” dall’investitore anche delle clausole sul management della società e quindi ad esempio avere un diritto di veto su alcune decisioni oppure nominare soggetti che andranno a comporre il CDA.
Quelle sopra esposte sono solo alcune delle numerose clausole che compongono term sheet e accordi di investimento e rappresentano senz’altro un vantaggio per l’investitore stesso visto che sono clausole pensate per sua tutela in vista dell’investimento che viene fatto.
Questo non deve scoraggiare l’imprenditore ma renderlo più consapevole nella fase negoziale al fine di raggiungere il deal e far crescere la propria startup.